Il termine mobbing deriva dall’inglese to mob (assalire tumultuosamente), è stato coniato dallo psicologo svedese Heinz Leymann, che lo definisce “una sorta di terrore psicologico sul luogo di lavoro, che consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo. Questo soggetto viene spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa”.
Si tratta perciò di un atteggiamento prolungato nel tempo verso un lavoratore, con la finalità di umiliarlo, metterlo in ridicolo, in imbarazzo e di ostacolare la sua attività professionale. Queste azioni devono avvenire con una frequenza di almeno una volta alla settimana e per un periodo di almeno 6 mesi.
Per definire il mobbing devono essere presenti almeno due tra i seguenti comportamenti:
- critiche ingiustificate, insinuazioni, minacce, limitazioni delle capacità personali;
- isolamento sistematico, come una deliberata negazione delle informazioni professionali, o il divieto di parlare con il lavoratore, o, ancora, la collocazione della persona in un contesto isolato;
- cambiamento delle mansioni, come attribuzione di compiti dequalificanti, ridicoli, inutili;
- attacchi alla reputazione, ad esempio calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose;
- violenza o minacce di violenza, di tipo sessuale o fisico;
- obbligo a partecipare a mansioni nocive per la salute.
Il mobbing non deve essere confuso con la dequalificazione professionale, la può implicare, ma non si identica con questa, perché consiste in un processo più complesso, in cui la vittima delle persecuzioni subisce una serie di gravi disagi psicologici, non molto diversi da quelli del disturbo post traumatico da stress.
In genere ci si riferisce al mobbing come atto che avviene all’interno del contesto lavorativo, ma esiste anche quello nell’ambito della scuola (e viene definito bullismo), delle forze armate (nonnismo), dei circoli culturali, ricreativi e delle bande giovanili.
Quante sono le vittime di mobbing? Molte di più di quanto si pensi. Si stima che in Italia ce ne siano circa un milione e mezzo, che salgono a 5 milioni, se si considerano anche le famiglie. Una ricerca di qualche anno fa ha denunciato che il 4.2% dei lavoratori italiani ha subito una forma di mobbing; in Gran Bretagna, dove il fenomeno e’ stato analizzato da più tempo, si arriva al 16%. In Svezia e in Germania circa mezzo milione di persone hanno dovuto ricorrere al prepensionamento o a cliniche psichiatriche a causa del mobbing.
Chi subisce il mobbing si sente prima di tutto in colpa, non si capacita, all’inizio, di quanto stia accadendo intorno a lei o lui. A volte i comportamenti di discriminazione vengono minimizzati dalla vittima stessa, considerati quasi normali. Solo con il protrarsi delle azioni di mobbing, il soggetto inizia a riconoscere la sua condizione. La fase di consapevolezza e’ lunga, complessa e spesso tortuosa.
Con il perpetrarsi della situazione compaiono i primi sintomi psicosomatici, ci si sente fortemente ansiosi, depressi, non si riesce a dormire. Si diventa irrequieti, irascibili, con problemi di concentrazione. Possono manifestarsi sintomi di depersonalizzazione e di derealizzazione, pensieri distorti relativi alle cause dell’evento, rabbia, vergogna, con senso di distacco e di estraneità verso gli altri. Possono essere presenti attività autodistruttive e reazioni psicosomatiche pericolose.
Se poi la situazione di mobbing perdura, la psicopatologia aumenta di gravità, in modo proporzionale.
Ma cosa si può fare? Prima di tutto attivare un processo di consapevolezza, che costituisce il passo più importante. Capire con lucidità cosa sta succedendo accanto a noi. E poi accettare di farsi aiutare. Con un percorso psicologico mirato, che sia in grado di fare chiarezza, di cogliere il comune denominatore dei diversi i disagi che si stanno vivendo. Solo arrivando a definire che quello che si sta percependo e’ legato a un atto di mobbing, si può, poi, in un secondo tempo, trovare la forza per reagire. Dal punto di vista psicologico, amministrativo e legale.
In Italia al momento non esiste una legislazione specifica in materia di mobbing, il fenomeno non è infatti definito come fattispecie tipica di reato a sé stante. Gli atti di mobbing rientrano in altre tipologie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose, che possono essere perseguibili, e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell’origine professionale della malattia.
Ma si può guarire dal mobbing? Sì’, si può venirne fuori e superarlo, magari con le ossa un po’ acciaccate. Importante è non negare i fatti, non incolparci inutilmente, ma imparare ad affidarci a un valido specialista. Che ci traghetti fuori da questa palude molto pericolosa dal punto di vista psicologico.